MOSTRA 2008
MARGINALIA |
MARGINALIA/Ferrara tra le mura e il Po
PARCO. Septum. Non da palus pali, come sognò il Ferrari, ma da parc, Celtica o Germanica voce, si dee derivar questo nome. Nelle antichissime Leggi Ripuarie questa si truova, e se ne servono non solo Italiani, ma anche Franzesi, Inglesi e Fiamminghi. L’Eccardo dal Germanico bergen, significante custodire, dedusse parco. I Modenesi ed altri Lombardi dicono barco. S’è vero questo significato del Tedesco bergen, di là si può credere venuto il Franzese berger, pastore; e non già da berg, monte, né da berbicarius, come s’ideò il Menagio.
L. A. Muratori, Dissertazione XXXIII:
Catalogo di molte voci Italiane,
delle quali si cerca l’origine
Chissà se Muratori, nel compilare questa voce ha pensato anche al nostro, di Barco, a quello spazio che si estende appena fuori le mura di Ferrara, in direzione nord, già così importante in epoca estense, quando fu luogo di difesa in caso di attacchi nemici, ma soprattutto luogo di svago. Delimitato a sua volta da una muraglia, al tempo di Ercole I era una riserva ricca di acque in cui sorgevano diversi piccoli edifici destinati agli animali, anche esotici, che vi furono introdotti, accanto alla delizia di Belfiore, oggi completamente distrutta.
Pur decentrata e non compresa entro l’anello murario, già allora era considerata parte della città, come provato dagli stessi interventi urbanistici di Biagio Rossetti e Alessandro Biondo, che nel 1495 suddivisero il Barco con un nuovo diaframma murario in una zona destinata a rimanere parco di caccia, verso Francolino e il Po, e quella più a sud, verso le mura, trasformata in Terra nova, ovvero in città a tutti gli effetti, dove in parte sopravviveva la precedente concezione con la denominazione di Barchetto. La sua urbanizzazione fu tuttavia al tempo assai contenuta e si deve attendere addirittura il secondo dopoguerra per una massiccia edificazione, annunciata al suo esordio dalle Cronache ferraresi del quotidiano il Resto del Carlino, che il 12 settembre 1942 all’articolo notifica l’avvio ai lavori del nuovo “villaggio”, pubblicandone anche la futura planimetria.
Della sostanziale vicinanza storica di questo processo di fondazione si mantiene ancora traccia nelle parole di chi oggi a Barco è più attempato, che ancora prende l’autobus “par andar in zità”, piuttosto che in centro. Comincia a dissiparsi, quet’idea di lontananza e separazione, tra i più giovani, che non hanno dovuto assumere nulla di nuovo, ma da sempre dispongono di vie e mezzi più rapidi di un tempo con cui spostarsi dalla periferia al centro cittadino, di nuove motivazioni coloro che, in direzione contraria, dal centro raggiungono il Barco, un quartiere che forse più di altri a Ferrara ha mostrato cosa crescere possa significare, una zona che ha saputo svilupparsi, pur dovendo superare difficoltà anche notevoli, a misura di cittadino. Uno sviluppo non certamente concluso, che ancora mostra aspetti da migliorare, ma che riflette, almeno per tutti coloro che non intendano fermarsi alla comoda apparenza del luogo comune, la volontà di fare e di crescere delle persone che vi abitano, di pari passo al loro stesso quartiere.
Se Barco, allora, è periferico rispetto a Ferrara, non lo è certamente nel senso di ‘secondario’ o ‘accessorio’, bensì in un’accezione puramente logistica, che solo ribadisce la sua collocazione al di fuori della cinta muraria cittadina, senza con questo relegarla ad una dimensione estranea. E in primo luogo dall’idea di manifestare la concreta e piena appartenenza di questo quartiere alla città di Ferrara è nato il titolo di questa esposizione tesa a rintracciare alcuni dei profili che esso offre a chiunque si trovi a passeggiare tra le sue vie e i suoi giardini.
Gli sguardi di quattro fotografi hanno attraversato il Barco, ciascuno seguendo un proprio filone tematico, fino a relazionarsi e completarsi vicendevolmente nell’allestimento collettivo, anche attraverso la loro rilettura narrativa: i confini, le linee urbanistiche, la dimensione architettonica interpretata anche come luogo dell’incontro, i personaggi che in qualche modo potremmo definire storici per un quartiere così giovane, sono qui fissati e insieme proposti a fornire nel reciproco richiamarsi l’identità poliedrica di un quartiere di Ferrara per molti ancora da scoprire.
Barbara Pizzo
Fotografie: Florence Camporesi, Luca Gavagna, Matteo Maestri, Beatrice Pavasini
Testi: Barbara Pizzo
Ideazione: Barbara Pizzo
Coordinamento e allestimento: a cura dell’Ass. Macondo e dell’Ass. Dario Berveglieri
Ringraziamenti
Si desidera ringraziare tutti coloro che hanno aderito al progetto e ne hanno resa possibile la realizzazione, offrendo la propria disponibilità e il proprio tempo: un grazie, allora, ad Alberta Cristofori, a Elisabetta Marani, a Vanni Santini e a sua moglie Franca Rigattieri, a Marco Chiarini e a Ferruccio Mazza che hanno accettato di lasciarsi ritrarre, ad Antonino Pizzo, per tutti Nino, a Giancarlo Gamberoni e a tutti gli altri che ci hanno accolti e raccontato un po’ della loro storia.
Un ringraziamento particolare a Rita Berveglieri, da subito sostenitrice di un’idea ancora tutta da plasmare; a Luca Gavagna, Beatrice Pavasini, Florence Camporesi e Matteo Maestri, che hanno offerto il loro sguardo, tra sorpresa ed entusiasmo; e a Giuliano Pavani, che ha seguito gli aspetti tecnici senza i quali ben poco si sarebbe fatto.
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